Lo smartphone della discordia (in classe)

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Foto tratta da http://bookloverworld.blogspot.it

Smartphone in classe. E la notizia fa il giro d’Italia, gettando nello sconforto l’opinione pubblica e qualche docente che, nelle parole del Ministro, spera di intravedere una delle tante bufale seminate in rete. Ma non è così. Anche perché la Fedeli non ha detto nulla di nuovo: basta dare una letta al Piano Nazionale della Scuola Digitale per apprendere che si fa riferimento al “mobile learning” ovvero di quella pratica formativa connessa all’ausilio di dispositivi quali i “cellulari” (ma c’è ancora qualcuno che li chiama così?).

Il mondo dei docenti è ancora molto diviso, se non spiazzato. Nascono le curve da stadio in base a superficiali entusiasmi e profonda diffidenza. In mezzo, però, anche parecchia indifferenza.
L’errore sta anche nel fatto di pensare che questo sia il futuro. Macché futuro, ad esagerare questo è il presente, il quotidiano (che ci piaccia o no). Anzi, per alcuni aspetti è il “passato prossimo”. 

Qualche giorno fa “Bergamo Post” ha pubblicato un’intervista a Paolo Ferri (Professore Associato docente di Tecnologie didattiche e Teoria e tecnica dei nuovi media presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Milano Bicocca) il quale illustra 5 motivi per cui varrebbe la pena usare lo smartphone a scuola. Potete leggere l’articolo qui.

Mi soffermerei su poche affermazioni che mi sento di condividere in pieno:
1) “Lo smartphone può essere un potente mezzo di attivazione didattica, se non è usato in maniera incontrollata.“: esatto. Il controllo parte dagli adulti e il controllo arriva quando c’è sicurezza, quindi competenza, ergo formazione. Non ci si può improvvisare: se l’alternativa, è l’immobilismo perché subentra un’insicurezza (instillata dall’idea che dall’altra parte c’è un pargolo che ti vuole sgamare), addio. Abbiamo perso in partenza una scommessa educativa (e comunicativa) di notevole portata. Certo: il controllo è sinonimo di “uso non indiscriminato”. Fissare paletti che aiutino a crescere.
2) “Se il compito della scuola è quello di formare i ragazzi, ci sta che li formi al buon uso di uno degli strumenti con cui hanno più familiarità. Proibire gli smartphone è come sottrarsi alla sfida.” Vecchio adagio. Chi ritiene che questa non sia una priorità per la prassi educativa, faticherà il doppio e finirà per erigere un muro ancora più spesso tra cattedra e banchi. Altro che flipped classroom. Le nostre lezioni (e il nostro dialogo con i ragazzi) devono tenere conto di questo background in continuo movimento. E noi docenti non possiamo starcene con le mani mano, fermi; mentre tutto, intorno a noi, si muove (e anche il tempo non sta lì ad aspettarci). Lasciarsi condizionare dal contesto per creare qualcosa “di nuovo” (soprattutto per noi) che finirà per condizionare il loro metodo di apprendimento dei ragazzi. Una rivoluzione, nel senso etimologico del termine. E le fiche da giocare sul tavolo della scommessa.
3) “L’uso dello smartphone in classe ha un senso e anzi può diventare un potente strumento di apprendimento solo se gli insegnanti hanno una preparazione nel campo della didattica collaborativa, se lavorano per progetti“: è quello che si ribadiva prima circa la necessità di crescere professionalmente accettando una sfida nodale per l’istruzione (non solo) italiana. Ovviamente ciò richiede uno sforzo notevole, ma anche tanta passione. Bisogna crederci. Ma al di là di qualsiasi entusiastica visionarietà un po’ fideistica (ah, le magnifiche sorti e progressive… ), il cambiamento avverrà se ci sarà un sistema. E chi di noi “smanetta” di più, ha maggiori responsabilità nel diffondere e mettere a disposizione quanto cresce nel proprio orto. Allora sfruttiamo la forza dei social, abbattiamo ogni pregiudizio nei confronti di questo o quel social network, ma facciamo sì che diventi un vettore di conoscenza e di divulgazione. E’ il contenuto che fa il contenitore. Scuola compresa.
4) “Se glielo togliamo a scuola, rafforziamo ancor di più l’idea che sia solo un strumento per passare o perdere tempo. ” Pensiamoci bene. Fino a che lo smartphone sarà visto per quel che è (secondo alcuni), non ci schiodiamo. Verissimo. “Come, prof? Ma lei legge il giornale sullo smart? Perché? Si può fare?” L’ingenuo studente si stupisce e mi vuole fare credere che non ha altro oltre Whatsapp.  

Gli smartphone sono, appunto, strumenti e, come tali, assumono una particolare valenza dal modo in cui li usiamo Su una parete si possono tanto vergare scritte oscene, quanto riprodurre un affresco di Michelangelo; ma la parete sempre parete resta.
Insomma formazione ed educazione v/s cazzeggio e panico da retrocattedra.

In coda a questo mio commento, vi segnalo anche un altro interessante articolo in cui si parla dell’utilizzo in Europa degli smartphone nell’educazione. (Riccardo Storti, animatore IC Genova Rivarolo)

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2 pensieri riguardo “Lo smartphone della discordia (in classe)

  1. Grazie per questo interessante contributo. Antonio Fini spesso cita la battaglia tra la penna biro e la stilografica, di parecchi decenni fa, a proposito delle resistenze al cambiamento. Temo che occorra semplicemente rassegnarci al fatto che viviamo in un transitorio permanente e gli strumenti che dobbiamo imparare a governare sono quelli di adesso, per poter governare meglio quelli che verranno. Ripeto sempre ai colleghi riottosi: non c’è alcun bisogno che tu lo usi, io difenderò sempre il tuo diritto a non usarlo e ti difenderò anche di fronte a studenti e famiglie; siamo nella fase in cui ci sono sufficienti persone ad usare le tecnologie e lo spettro delle didattiche è ampio. C’è spazio per tutti, non pestiamoci reciprocamente i piedi e facciamo squadra. Autenticamente.

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